In questo momento storico, purtroppo, per un’azienda – qualunque sia il tipo di servizio e/o prestazione che offre e/o svolge – è tutt’altro che raro trovarsi dinanzi al fallimento di un proprio Cliente.

Il fallimento rientra nell’alveo delle c.d. “procedure concorsuali” previste dall’ordinamento italiano nel caso in cui una società versi in uno stato di crisi economica tale da non essere più in grado di saldare i propri debiti, al ricorrere di specifici e determinati presupposti.

In linea di massima, due sono le situazioni di fatto nelle quali potremmo ritrovarci:

1. Al momento della scoperta del fallimento il Cliente ha già saldato il prezzo della prestazione da noi svolta.

2. Al momento della scoperta del fallimento, il Cliente non ha ancora saldato il prezzo della prestazione da noi già eseguita in suo favore.

1. Al momento della scoperta del fallimento il Cliente ha già saldato il prezzo della prestazione da noi svolta

In questo caso, il Fallimento comporterà la definitiva conclusione del rapporto con il Cliente, ma non dovremo “affannarci” per recuperare eventuali somme a nostro credito, per prestazioni già svolte.

Anche a pagamento effettuato, tuttavia, possono rilevare, dal punto di vista giuridico, due elementi in fatto, che – al momento della scoperta del fallimento – sarà opportuno e necessario verificare:

  • la data di esecuzione del pagamento;

  • l’esistenza o meno di elementi in grado di dimostrare che, quando abbiamo ricevuto il pagamento, eravamo a conoscenza dello stato di grave crisi in cui versava il nostro Cliente.

Infatti, il Curatore – ovvero l’operatore giuridico incaricato di occuparsi della “gestione patrimoniale” della società fallita – può, per legge, chiedere la restituzione di eventuali pagamenti effettuati dalla società fallita nei 6 mesi precedenti la dichiarazione di fallimento, laddove abbia elementi per dimostrare che chi ha ricevuto il pagamento del prezzo “conosceva lo stato d’insolvenza del debitore”.

In altri termini, se nei sei mesi precedenti alla dichiarazione di fallimento, la società fallita ha provveduto al pagamento del corrispettivo in favore di un creditore che era a conoscenza del suo grave stato di crisi economica – e tale circostanza può essere “provata” – al creditore stesso può essere intimato di restituire la somma già incassata. Si parla, in questo caso, di azione revocatoria fallimentare.

Resta, tuttavia, inteso che l’onere della prova circa la conoscenza o conoscibilità, da parte del creditore, dello stato di insolvenza del debitore, è posto interamente a carico del Curatore.

Focus normativo

Afferma l’art. 67, comma 2, della Legge Fallimentare che “sono (…) revocati, se il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti, anche di terzi, contestualmente creati, se compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento”.

2. Al momento della scoperta del fallimento, il Cliente non ha ancora saldato il prezzo della prestazione da noi già eseguita in suo favore

In questo caso, siamo a tutti gli effetti creditori della società fallita e, per ciò stesso – salvo il caso di lacune nella contabilità della fallita – riceveremo formale comunicazione a mezzo pec dell’intervenuto fallimento, della data di udienza fissata per l’esame del c.d. progetto di stato passivo e della possibilità di presentare una c.d. insinuazione al passivo, entro un mese dalla data di udienza (art. 92 L.F.).

Che cos’è l’insinuazione al passivo?

L’insinuazione al passivo è un vero e proprio atto con il quale il creditore – di norma rappresentato dal difensore incaricato a rappresentarlo – allega tutta la documentazione atta a dimostrare l’esistenza, l’ammontare e la natura, privilegiata o meno, del credito maturato nei confronti del fallito e, per l’effetto, chiede di essere “ammesso al passivo”, ovvero di poter partecipare alla distribuzione dell’attivo patrimoniale che sarà eventualmente ricavato alla chiusura del Fallimento, sino alla concorrenza del credito vantato o, in ogni caso, nella percentuale di soddisfazione che verrà stabilita.

Quando e perché è conveniente presentare l’insinuazione al passivo?

In linea generale, la decisione di “insinuarsi al passivo” consente al creditore di tenersi aperta la possibilità di recuperare in tutto o in parte, la somma dovutagli dal fallito, seppur in un arco temporale molto ampio, vista la lunga durata dei Fallimenti (dai 3 ai 6 anni di media).

Resta inteso che la valutazione circa l’opportunità o meno di procedere in tal senso dovrà essere fatta caso per caso, alla luce, ex multis, dell’ammontare del credito vantato e dell’eventuale conoscenza di elementi in fatto che possano far ragionevolmente presumere che il patrimonio del debitore sia incapiente.

Cosa succede dopo?

Allo scadere del termine per la trasmissione dell’insinuazione al passivo, il Curatore esaminerà tutte le domande pervenutegli e predisporrà il c.d. progetto di stato passivo, ovvero la sua “proposta” di ammissione dei crediti.

All’udienza fissata per la disamina del progetto, il Giudice – previa integrazione e/o modifica del progetto del Curatore, secondo le proprie valutazioni – dichiara l’esecutività dello stato passivo.

Tutta la successiva attività del Curatore è diretta alla “ricostruzione” del patrimonio della società fallita e, più in particolare, al recupero dei crediti da essa stessa vantati.

A conclusione della procedura, il Curatore predispone un c.d. piano di riparto, a mezzo del quale – tenuto conto del ricavato distribuibile tra i creditori – stabilisce quali creditori, e secondo quale ordine e percentuale, devono essere soddisfatti.

Focus normativo

Afferma l’art. 93 della Legge fallimentare che “la domanda di ammissione al passivo di un credito, di restituzione o rivendicazione di beni mobili e immobili, si propone con ricorso da trasmettere (…) almeno trenta giorni prima dell’udienza fissata per l’esame dello stato passivo” (comma 1) e deve contenere “1) l’indicazione della procedura cui si intende partecipare e le generalità del creditore; 2) la determinazione della somma che si intende insinuare al passivo, ovvero la descrizione del bene di cui si chiede la restituzione o la rivendicazione; 3) la succinta esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda; 4) l’eventuale indicazione di un titolo di prelazione, nonché la descrizione del bene sul quale la prelazione si esercita, se questa ha carattere speciale; 5) l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata, al quale ricevere tutte le comunicazioni relative alla procedura, le cui variazioni è onere comunicare al curatore” (comma 4).

Quando e come posso recuperare l’IVA in caso di Fallimento?

In caso di “mancato incasso in tutto o in parte del corrispettivo” ad opera del debitore (cessionario o committente) “per le procedure concorsuali”, il creditore (cedente del bene o prestatore del servizio) che abbia già emesso fattura con addebito di IVA, può effettuare variazioni in diminuzione della base imponibile IVA e della relativa imposta (art. 26, c. 3-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633; c.d. “Decreto IVA”).

Per i fallimenti avviati prima del 26 maggio 2021, il diritto alla variazione era esercitabile dal creditore unicamente:

  • previa partecipazione al Fallimento, mediante presentazione dell’insinuazione al passivo e

  • dopo la chiusura della procedura fallimentare, poiché si riteneva che solo allora si potesse raggiungere la “ragionevole certezza dell’incapienza del patrimonio del debitore” (risposta a interpello n. 181 del 7 aprile 2022 dell’Agenzia delle Entrate).

L’articolo 18 del c.d. Decreto Sostegni-bis (decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2021, n. 106, come modificato dal D.L. 30 dicembre 2021, n. 228, convertito con modificazioni dalla L. 25 febbraio 2022, n. 15) ha modificato in modo significativo la disciplina precedentemente vigente e, più in particolare, l’art. 26 del Decreto IVA.

Per i fallimenti avviati dopo il 26 maggio 2021, il creditore può operare la predetta variazione in diminuzione, ai fini della detrazione dell’IVA:

  • a partire dalla data di apertura del fallimento a carico del debitore (senza quindi attenderne l’esito) e

  • indipendentemente dalla presentazione di formale insinuazione al passivo (circolare Agenzia delle Entrate n. 20 del 29 dicembre 2021).

Più in particolare, l’Agenzia delle Entrate ritiene che, in linea generale, è possibile esercitare il diritto alla detrazione dell’IVA oggetto di tempestiva variazione, direttamente in sede di dichiarazione annuale relativa all’anno in cui la stessa nota è stata emessa, indipendentemente dalla mancata insinuazione al passivo del credito (risposta ad interpello n. 485 del 3 ottobre 2022 dell’Agenzia delle Entrate).

Laddove il creditore che abbia operato la predetta variazione si sia altresì insinuato al passivo ed abbia ottenuto – all’esito della procedura concorsuale – la soddisfazione, in tutto o in parte, del proprio credito, lo stesso dovrà rendersi nuovamente debitore dell’Iva sulla quota di credito percepita, emettendo nota di variazione in aumento (art. 26, comma 5-bis del Decreto IVA).

Focus normativo

Con la Circolare n. 20 del 29 dicembre 2021, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito i criteri interpretativi ed applicativi dell’art. 26 del Decreto IVA, così come modificato dall’articolo 18, comma 1, lettera b), del Decreto Sostegni-bis, come di seguito brevemente riportato.

Il comma 2 dell’articolo 26 del Decreto IVA prevede le ipotesi in relazione alle quali il cedente del bene o prestatore del servizio (creditore) può effettuare variazioni in diminuzione della base imponibile e della conseguente imposta, senza specifici limiti di tempo, con riferimento a operazioni per le quali abbia già emesso fattura con addebito di IVA.

Il nuovo comma 3-bis prevede che la disposizione di cui al comma 2 si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, ad opera del cessionario o committente “per le procedure concorsuali”, qual è il fallimento (lettera a), individuando la data a partire dalla quale la variazione può essere operata.

Più specificamente, qualora il mancato pagamento sia dovuto all’assoggettamento del debitore a procedure concorsuali, la variazione conseguente può essere operata, ai sensi del combinato disposto dei nuovi commi 3-bis e 10-bis, a partire dalla data di apertura della procedura concorsuale (senza quindi attenderne l’esito), ossia, quanto allo specifico caso del fallimento di cui si tratta in questa sede, la data della sentenza dichiarativa del fallimento.

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